Le malattie mieloproliferative croniche

Le malattie mieloproliferative croniche sono un gruppo eterogeneo di malattie caratterizzate da proliferazione anomala e neoplastica della cellula staminale mieloide. A causa di tale alterazione il midollo osseo produce troppi globuli rossi, globuli bianchi o piastrine. Esistono diversi tipi di queste patologie, ognuna con caratteristiche proprie. In generale queste patologie sono distinte in 2 gruppi per la presenza o assenza della traslocazione t(9;22) che genera un cromosoma di fusione, chiamato cromosoma Philadelphia (Ph). La leucemia mieloide cronica è caratterizzata dalla presenza della t(9;22), le altre patologie sono raggruppate tra le sindromi mieloproliferative croniche (SMP) Philadelphia negative (a loro volta possono presentare ulteriori mutazioni genetiche). Tali patologie sono caratterizzate da un aumentato rischio trombotico.

INCIDENZA

L’incidenza di tali sindromi in Italia varia a seconda del sottotipo di malattia. Si va da 5 casi su 100.000 persone all’anno nella policitemia vera a 1 aso su 100.000 persone all’anno nella mielofibrosi primitiva.

L’età mediana è solitamente > 60 anni.

DIAGNOSI

Per la diagnosi sono richiesti esami del sangue e la valutazione osteomidollare (aspirato midollare e biopsia osteomidollare)

  1. Esami del sangue: in particolare l’emocromo con formula leucocitaria (spesso presenta alterazioni del numero di globuli bianchi, globuli rossi o piastrine) e la ricerca di mutazioni specifiche per sindromi mieloproliferative, ovvero la presenza del cromosoma Philadelphia e/o mutazioni a carico dei geni JAK2, CALR, MPL. I medici inoltre richiederanno ulteriori esami di completamento per una giusta diagnosi differenziale con altre patologie (ad esempio LDH, urea, urato, creatinina, elettroliti, funzione epatica, dosaggio eritropoietina, TSH, sideremia, transferrina, ferritina, dosaggi ormonali, B12 e acido folico)
  2. Esame del midollo osseo: aspirato midollare (per analisi morfologica, immunofenotipica, citogenetica e molecolare) e biopsia osteomidollare per studiare la cellularità del midollo, la presenza di tessuto fibrotico

Verrà inoltre richiesta un’ecografia addome poiché spesso queste patologie sono caratterizzate da splenomegalia (incremento del diametro della milza). Ulteriori esami strumentali potrebbero essere prescritti dal medico per escludere altre patologie e in base all’anamnesi personale del paziente.

CLASSIFICAZIONE

Sindromi mieloproliferative Philadelphia positive:

  • leucemia mieloide cronica

Sindromi mieloproliferative Philadelphia negative:

  • Policitemia vera
  • Mielofibrosi primitiva
  • Trombocitemia essenziale
  • Leucemia neutrofilia cronica
  • Leucemia eosinofilia cronica
  • Mastocitosi
  • SMP inclassificabili

Verranno trattate di seguito le sindromi mieloproliferative più comuni, ovvero la leucemia mieloide cronica, la Policitemia Vera, la Trombocitemia Essenziale e la Mielofibrosi Primitiva

LEUCEMIA MIELOIDE CRONICA

La leucemia mieloide cronica è una sindrome mieloproliferativa caratterizzata dalla mutazione genetica, la traslocazione (9;22), che porta alla formazione del cromosoma Philadelphia, che produce una proteina BCR-ABL responsabile di una proliferazione incontrollata cellulare a livello del midollo osseo. L’emocromo presenterà leucocitosi (globuli bianchi aumentati), spesso anche piastrinosi (piastrine aumentate) e anemia. La malattia è caratterizzata da più fasi, fase cronica, accelerata e blastica, quest’ultima rappresenta l’evoluzione in leucemia mieloide acuta. Generalmente la crescita e la trasformazione di questa malattia è graduale nel tempo, e le attuali terapie permettono nella maggior parte dei casi un controllo completo della malattia.

INCIDENZA

L’incidenza è di 1-2 casi su 100.000 abitanti per anno. L’età mediana di insorgenza è 60 anni.

CAUSE E FATTORI DI RISCHIO

La causa della patologia è la traslocazione t(9;22). Una parte del cromosoma 9 e del cromosoma 22 “traslocano” invertendo la loro posizione. Da tale anomalia genetica viene prodotta una proteina anomala, BCR-ABL, responsabile di una incontrollata proliferazione cellulare.

SINTOMI E SEGNI

Questi sono i sintomi più comunemente associati alla patologia:

  • Astenia (stanchezza) progressiva
  • Dispnea (sensazione di fiato corto)
  • Febbre e infezioni ricorrenti
  • Perdita di peso e di appetito
  • Abbondanti sudorazioni notturne
  • Dolori addominali, difficoltà durante la digestione, sensazione di ripienezza precoce post prandiale.
  • Stato di confusione, sonnolenza e priapismo

DIAGNOSI

Per la diagnosi sono richiesti esami del sangue e la valutazione osteomidollare (aspirato midollare e biopsia osteomidollare)

  1. Esami del sangue: in particolare l’emocromo con formula leucocitaria (spesso presenta incremento del numero di globuli bianchi e piastrine e anemia) e la ricerca della t(9;22)
  2. Esame del midollo osseo: aspirato midollare (per analisi morfologica, immunofenotipica, citogenetica e molecolare) e biopsia osteomidollare per studiare la cellularità, il numero di cellule immature e per escludere altre patologie midollari

Verrà inoltre richiesta un’ecografia addome per valutare la splenomegalia. Nel sospetto di trombosi a livello dei vasi addominali potrebbero essere richiesti esami strumentali come angioTAC addome con mezzo di contrasto o angioRMN. Inoltre all’esordio i medici prescriveranno alcuni esami strumentali per valutare lo stato di salute generale del paziente per valutare l’opzione terapeutica più adatta.

STADIAZIONE E PROGNOSI

La leucemia mieloide cronica può essere classificata in tre fasi a seconda della sua aggressività:

  • fase cronica: nessun sintomo clinico o di lieve entità, numero di blasti (cellule immature) nel midollo osseo inferiore al 10%. Si tratta spesso di un riscontro casuale, la maggior parte dei pazienti ricevono la diagnosi in questa fase che è più facile da controllare con i farmaci attualmente disponibili.
  • fase accelerata: di solito presenza di sintomi (febbre, calo ponderale…). A livello midollare presenza di blasti tra il 10% ed il 19%, diminuzione del numero di piastrine e ridotta risposta ai trattamenti.
  • fase blastica: sintomi generali presenti e numero di blasti a livello midollare maggiori del 20%. In questa fase la terapia è simile a quella della leucemia mieloide acuta.

All’esordio in fase cronica vengono calcolati alcuni indici prognostici (Sokal, Euro Hasford, Eutos, ELTS score) che tengono conto di alcuni fattori prognostici (età percentuale di blasti, eosinofili e/o basifili in periferia, livelli di piastrine, splenomegalia, anomalie cromosomiche aggiuntive)

TERAPIA

Al giorno d’oggi la terapia principale per questa patologia è rappresentata dall’uso di farmaci specifici chiamati inibitori delle tirosin chinasi, che bloccano la replicazione cellulare incontrollata determinata dalla t(9;22). Esistono ovviamente altre terapie che vengono scelte sulla base dello stato di malattia e del paziente. Spesso all’esordio si utilizza un chemioterapico orale (oncocarbide) con lo scopo di ridurre l’elevato numero di globuli bianchi circolanti nel sangue periferico prima di avviare una terapia specifica.

Gli inibitori delle tirosin chinasi colpiscono in modo selettivo quelle cellule che hanno la traslocazione (9;22). Attualmente esistono diversi tipi di questi farmaci: imatinib (il primo ad essere stato studiato), dasatinib, nilotinib, bosutinib, ponatinib. La scelta del farmaco dipende dall’età del paziente, dalle comorbidità e dagli indici prognostici. Questi farmaci devono essere assunti in modo continuativo e la risposta alla terapia viene monitorata dal medico con valutazione clinica, esami e valutazioni midollari. Tali farmaci possono avere degli effetti collaterali anche gravi, per tale motivo all’esordio i pazienti vengono sottoposti ad esami del sangue ed esami strumentali per valutare lo stato di salute generale del paziente. La non risposta ad uno di questi farmaci non preclude l’utilizzo di un altro farmaco. In certi casi, pazienti in terapia da anni in risposta completa hanno sospeso l’assunzione del farmaco (con monitoraggio accurato) mantenendo il controllo completo malattia.

La chemioterapia è un trattamento più aggressivo che viene riservato solo ai pazienti in grado di tollerare tale trattamento e che non rispondono più agli inibitori delle tirosin chinasi. La risposta ottenuta va consolidata con un trapianto di cellule staminali emopoietiche da donatore (trapianto allogenico).

SINDROMI MIELOPROLIFERATIVE Ph NEGATIVE

Le principali sindromi mieloproliferative Ph negative sono la policitemia vera (PV), la Trombocitemia Essenziale (TE) e la Mielofibrosi Primaria (P-MF). Questa patologie possono presentare alcune caratteristiche comuni:

  • Sintomi da iperviscosità (cefalea, prurito che peggiora dopo la doccia, formicolii e parestesie alle mani e piedi, alterazioni della vista o dell’udito, arrossamento del volto) e splenomegalia ( che causa peso e dolore al fianco sinistro o sensazione di ripienezza precoce dopo aver mangiato).
  • Decorso clinico: rischio di evoluzione in mielofibrosi secondaria (MF) o leucemia acuta (LA) secondaria.
  • Aumentato rischio trombotico
  • Presenza di mutazioni driver: dal 2005 in poi, sono state descritte più di 20 mutazioni e le più frequenti sono la mutazione di JAK2V617F, della Calreticulina (CALR) e di MPL.
  • La terapia e la prognosi variano a seconda del tipo di patologia. L’obiettivo terapeutico spesso è mirato a ridurre il rischio trombotico associato a tali patologie e a contenere i sintomi associati.

POLICITEMIA VERA -PV-

Sindrome mieloproliferativa caratterizzata da incremento dei globuli rossi (e del valore di emoglobina) che rendono il sangue più denso. Anche il numero di globuli bianchi e piastrine può aumentare. L’incremento delle cellule nel sangue può determinare sintomi da iperviscosità (vedi sopra) e favorisce gli eventi trombotici. La maggior parte dei pazienti affetti da Policitemia Vera presentano la mutazione del gene JAK2V617F. Al momento della diagnosi oltre agli esami del sangue, alla ricerca di mutazioni e alla valutazione osteomidollare verranno richiesti alcuni esami per escludere patologie cardiorespiratorie che causano aumento dei globuli rossi nel sangue.

La terapia non è curativa e non cambia il decorso della malattia, ma ha come obiettivo quello di ridurre il rischio di eventi trombotici e di contenere i sintomi riferiti dal paziente. A seconda dell’età e dell’anamnesi positiva per pregressi eventi trombotici, i pazienti vengono classificati in due categorie (basso e alto rischio). I pazienti a basso rischio vengono generalmente trattati solo con la terapia antiaggregante, quelli ad alto rischio con terapia antiaggregante e chemioterapia orale (oncocarbide) per contenere il numero di cellule circolanti nel sangue periferico. Il salasso è una procedura che viene proposta ai pazienti per ridurre il valore di ematocrito, ovvero la “densità” del sangue e può essere proposto sia a pazienti a basso che ad alto rischio. Ulteriori terapie sono rappresentate da ruxolitinib (farmaco biologico, inibitore delle tirosin chinasi) e interferon peghilato, che vengono considerate qualora il paziente sia intollerante alla chemioterapia orale standard o se tale terapia risulta inefficace.  Poiché si tratta di una patologia ad aumentato rischio trombotico ogni paziente verrà educato a mantenere uno stile di vita che riduca al minimo ulteriori fattori di rischio (evitare il fumo, praticare sport, alimentazione controllata evitando grassi, alcool ed eccesso di carboidrati….)

TROMBOCITEMIA ESSENZIALE -TE-

Sindrome mieloproliferativa caratterizzata da incrementata produzione di piastrine. Il 25% dei pazienti non presenta mutazioni diagnostiche alla diagnosi, per cui tale patologia viene diagnosticata sulla base degli esami (escludendo altre condizioni acute o croniche infettive o infiammatorie che possono presentare incremento di piastrine) e dopo attento studio della valutazione osteomidollare. La patologia è caratterizzata da aumentato rischio trombotico e i sintomi e i segni riferiti sono quelli comuni a tutte le sindromi mieloproliferative.

Anche per questa patologia la terapia non è curativa e non cambia il decorso della malattia, ma ha come obiettivo quello di ridurre il rischio di eventi trombotici e di contenere i sintomi riferiti dal paziente. Per impostare una corretta terapia nei pazienti affetti da TE si considerano alcuni fattori: eta’, anamnesi positiva per pregressi eventi trombotici, presenza della mutazione JAK2V617F, presenza di ulteriori fattori di rischio cardiovascolare. A seconda delle caratteristiche il paziente potrà essere solo monitorato o trattato con terapie antiaggreganti (o anticoagulanti) e la chemioterapia orale (oncocarbide) per ridurre il numero di piastrine circolanti. La terapia con interferon viene generalmente considerata per pazienti giovani con necessità di ridurre il numero di piastrine. L’anagrelide è un farmaco che viene generalmente proposto nei pazienti intolleranti alla chemioterapia orale di prima linea (oncocarbide) o se tale terapia risulta inefficace, e necessita di un monitoraggio cardiologico a causa di alcune reazioni avverse segnalate.

MIELOFIBROSI PRIMITIVA -MF-

Sindrome mieloproliferativa caratterizzata da proliferazione anomala delle cellule del midollo osseo associata a fibrosi del midollo. La fibrosi determina una cicatrizzazione del tessuto midollare con un rallentamento nella produzione delle cellule del sangue, così si verifica il fenomeno di ematopoiesi extramidollare in particolare nel fegato e nella milza (il fegato e la milza iniziano a produrre cellule del sangue, di conseguenza aumentano di dimensioni). La patologia viene definita primitiva o secondaria se evolve da precedente malattia del midollo (es. policitemia vera o trombocitemia essenziale). Spesso all’esordio i pazienti possono presentare all’emocromo incremento dei globuli bianchi e piastrine con riduzione dei valori di emoglobina, presenza di cellule immature nel sangue periferico (blasti) associati a splenomegalia. La maggior parte dei pazienti presenta una mutazione driver, è comunque necessario eseguire la valutazione osteomidollare per definire la diagnosi e il grado di fibrosi. I pazienti possono riferire stanchezza, dolori ossei, sudorazioni notturne o febbricola e disturbi legati all’ingrossamento della milza oltre ai sintomi comuni generalmente riferiti nelle sindromi mieloproliferative. La terapia si basa sull’utilizzo di chemioterapia orale (oncocarbide), utilizzato per ridurre la l’incremento delle cellule nel sangue periferico, oppure sull’utilizzo di ruxolitinib, farmaco biologico efficace nel ridurre le dimensioni della milza e i sintomi sistemici riferiti dal paziente. I pazienti in terapia, soprattutto con ruxolitinib, vengono sottoposti ad attento monitoraggio clinico per valutare l’eff9icacia ed eventuali effetti collaterali, ad esempio alterazioni dell’emocromo, sviluppo di complicanze infettive oppure comparsa di lesioni cutanee.  In caso di anemia si associa a volte una terapia con cortisone a basse dosi o la somministrazione di eritropoietina esogena per aumentare la produzione di globuli rossi. L’unica terapia curativa è rappresentata dal trapianto di midollo osseo da donatore (familiare o da registro) che viene riservata a pazienti giovani con malattia avanzata per elevata tossicità e mortalità associata alla procedura.

 

Dottoressa Francesca Binda

Specialista Ematologa
UOC Ematologia, Ospedale di Legnano, ASST Ovest Milanese

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