Anche Piera è arrivata nella Casa AIL di Vimodrone a marzo, il 29 marzo per la precisione. Però, doppo un primo ricovero di Piera, hanno iniziato ad abitare l’appartamento loro assegnato insieme fin da subito.
Piera è venuta al San Raffaele a cercare le ragioni di una brutta febbre che non passava mai e qui le hanno diagnosticato un linfoma al quarto stadio.
La cura è lunga, esami e controlli sono costanti, ma ha sempre avuto al suo fianco il marito Gigi, che “anche se parla poco, mi ha dato molta forza, mi ha fatto sentire protetta”
Piera e Gigi sono di Sassari. Adesso il percorso sembra chiaro, giorno dopo giorno si va avanti con una forza d’animo esemplare, e la speranza di tornare presto nella loro amatissima terra.
Avevo sempre la febbre, non passava mai. Ho iniziato una serie di controlli ma non si trovava la causa. Ho un fascicolo di visite di tutti i tipi, per tanti mesi. Poi sono andata in Ematologia a Sassari e lì mi hanno detto che c’era qualcosa che non andava. All’inizio pensavano a una leucemia, mi hanno detto che avrei potuto andare avanti così tutto il resto della vita, ma la febbre non passava. Ero stanca morta, stavo malissimo, facevo la vita di un vegetale, passando dal letto al divano.
Al lavoro andavo proprio un paio d’ore (seguo la contabilità della panetteria della mia famiglia di origini). A febbraio 2025 ho cercato un internista al San Raffaele a Milano.
Dopo gli accertamenti (sono stata rivoltata come un calzino, dice), la diagnosi. “Signora, qua non va tutto bene” le dicono. Pensava di restare a stare al San Raffaele 3-4 giorni, invece sono diventati mesi. È stata trasferita in Ematologia, ha iniziato la chemioterapia, 6 cicli, 1 ogni 3 settimane. Dopo le cure dovrà stare un’altra settimana in ospedale, poi io dovrei essere guarita. È già a buon punto delle cure, secondo la PET di controllo sta andando tutto bene.
Quando mi hanno diagnosticato il tumore sono proprio crollato.
Al San Raffaele mi sono sentita protetta anche se essere in ospedale mi faceva paura, è veramente molto grande. Mi dicevo “se mi succede qualcosa non riesco neanche a orientarmi… Tutti questi farmaci…non so neanche come prenderli… Mia figlia mi ha messo le sveglie sul telefono e il nome dei farmaci.
Gigi, nel frattempo, viveva in un bed&breakfast. E stava cercando qualcosa di più economico per tutti i mesi necessari alle cure di Piera.
Lei ricorda ancora con un po’ di stupore com’è venuta a conoscenza delle residenze AIL e, in particolare, di quella a Vimodrone.
Io sono una donatrice AIL, la prima volta che ho donato ho visto che tra le destinazioni possibili della donazione una riguardava gli alloggi che AIL metteva a disposizione delle persone costrette a curarsi lontano da casa. Allora avevo pensato: “forse dono per la ricerca, magari sono più utile”
Invece mi sono resa conto di persona di quanto fossero utili gli alloggi AIL.
Abbiamo mandato una mail all’indirizzo che avevo e dopo qualche giorno ci hanno risposto. Abbiamo fatto un colloquio e, nel giro di pochi giorni, ci hanno dato la casa. Nella sfortuna siamo stati fortunatissimi. In questa casa c’è il sole, la luce. Quando i miei figli vengono a trovarmi mi dicono “Sai mamma, questa casa ha proprio un senso di casa”.
Toccare con mano cosa significhi dare concretezza a una donazione l’ha molto cambiata, lo dice lei stessa.
Quando qualcuno diceva “eh, sa,i le donazioni, chissà dove vanno a finire…” Io ho sempre risposto “Io faccio quello che penso essere il mio dovere, quello che dice la mia coscienza. Se li usano bene, bene. Se li usano male dovranno fare i conti con la loro coscienza”.
Io mi sono resa conto che le mie donazioni andavano nel posto giusto, e così anche tutta la mia famiglia, i miei amici. Hanno scoperto un mondo che prima non conoscevano, il mondo della solidarietà. In AIL sono molto disponibili, ci aiutando in tutto, anche accompagnandoci alle visite… Anche questo è un grande aiuto, al di là dell’aspetto economico, anche questo è un pensiero in meno.
Della Sardegna le mancano molte cose. I figli sono grandi, la ragazza studia Medicina e ha 24 anni, il più grande è architetto e vive a Vienna. Hanno un cane e ovviamente è stato un dispiacere lasciarlo là per tanto tempo, un lavoro, che sono riusciti a gestire, ma c’è tanto altro…
Io ho una panetteria, lavoro con le mie sorelle, mi occupo della contabilità. Mio marito anche lui lavora in negozio, con il fratello.
Anche questo è stata una fortuna, ci ha permesso di sentire un pochino meno il peso dell’abbandono del lavoro, anche se lasciare tutto così, dall’oggi al domani, è stato difficile per tutti.
Mi manca, ci manca la nostra terra, la sua tranquillità, un posto che ho sempre amato moltissimo, la gente, la luce. Mi sono diplomata in ragioneria e non ho mai fatto un concorso pubblico perché mi avrebbe portata lontano da casa, magari anche fuori dalla Sardegna, non ci ho mai neanche provato. Oggi mi rendo conto di quanto mi manca, tutto, anche gli odori, i sapori, è tutto diverso. Io che lavoro nel panificio, il pane da noi è diverso. Quando Gigi è andato a casa gli ho detto di passare in negozio e di prendermi un po’ del nostro pane e me l’ha portato in ospedale. Ho iniziato ad addentarlo, com’era buono!!
Le cure sono pesanti, debilitanti. Piera ha cominciato a fare piccole passeggiate nel paese, con calma. Gigi non se la sente di uscire senza di lei.
Da quando c’è lei faccio le commissioni, esco per andare in farmacia, ci vado quasi tutti i giorni, e a fare la spesa. Non mi piace uscire da solo…Lei mi ha detto: ma non sei andato a vedere il Duomo? No!, dice Gigi con un mezzo sorriso. Però va tutte le mattine nello spazio comune della Casa AIL a prepararsi un buon caffè, spazio che Piera frequenta con cautela perché si sente ancora fragile dal punto di vista immunitario.
Gigi continua “In questa casa ci sono davvero tutte le comodità. Per quel che riguarda lo spazio comune devo dire che ci è piaciuto molto quando sono venuti alcuni musicisti ad esercitarsi qui.
Noi non avevamo mai visto un concerto di musica classica, è stato bellissimo. Sarebbe bello se lo organizzassero ancora…”


