Gabriele e Valeria sono a Milano da qualche mese, vengono da Rimini, lavorano entrambi a San Marino.
La malattia di Gabriele è stata scoperta a luglio 2024. Un fulmine a ciel sereno, fino a 10 giorni prima andavano per sentieri in montagna, non hanno nemmeno 50 anni, sono sportivi, amano stare all’aria aperta, fare movimento.
Gabriele inizia a raccontare dai tempi del primo Covid, pensa forse che ci sia un collegamento tra il virus che l’aveva colpito nel 2020 e quello che è accaduto dopo. Gli esami del sangue che faceva regolarmente avevano evidenziato valori fuori norma ma non preoccupanti fino al controllo di maggio e poi luglio. Il 17 luglio è stato chiamato dall’ematologo che gli ha detto “dobbiamo parlare”. Lui ha chiesto “Ma è grave?” “Non ti preoccupare, vieni” ha risposto.
Il mattino dopo il medico ha parlato di presenza di “blasti”, cellule immature che segnalano, solitamente, la leucemia. Sembrava una LMA, Leucemia Mieloide Acuta, invece, dopo gli approfondimenti, è arrivata un’altra sentenza: neoplasia a cellule dendritiche plasmacitoidi blastiche (BPDCN), patologia scoperta solo 10 anni fa a Boston, ed è un bene che l’abbiano individuata rapidamente.
All’inizio ero distrutto: ti senti come se la vita ti stesse andando via perché, comunque, sono malattie toste, dove nessuno ti può dare una certezza.
La dottoressa di Rimini una mattina mi ha detto che anche la persona più sana di questo mondo un giorno si può prendere una banalissima polmonite, che una volta era la malattia mortale oggi spesso è poco più di un’influenza, ma se va in complicazione può non riuscire a superarla.
Ha detto “Per te non è finito tutto: bisogna crederci, combattere e con la testa essere presente”. Da lì ho cominciato a reagire, piano piano. Ho iniziato a studiare non solo la mia malattia ma anche altre malattie del sangue: finché sei fuori da queste cose ti sembra tutto scontato, ti sembra che tutti stiano bene, senti parlare di queste malattie, ti dispiace ma non ci pensi…
A Rimini gli hanno fatto 4 cicli di cure, con 30-35 giorni di ricovero per ciascun ciclo, e qualche giorno a casa tra l’uno e l’altro in attesa della remissione della malattia. Finché non è arrivato gennaio 2025, quando viene mandato dall’ospedale di Rimini al San Raffaele per il trapianto di midollo (i due ospedali sono collaborano, dice Gabriele). Qui lo preparano per il trapianto. I suoi fratelli non sono compatibili, viene cercato un donatore di midollo nella banca dati: “hanno trovato una ragazza tedesca, 100% compatibile con me, più giovane di una decina d’anni, dopo il trapianto ci siamo scambiati una lettera tramite l’associazione donatori, senza scrivere i nomi…”
Il 28 gennaio c’è stato il ricovero, il 7 febbraio il trapianto e poi sono arrivate le complicazioni.
“Fanno parte del pacchetto” dice Gabriele, è uscito il 6 marzo, ma poi è sopraggiunta la complicanza chiamata GRAFT, che ha danneggiato il nuovo midollo e l’ha costretto recentemente a tornare in ospedale per intervenire e rinforzarlo. Anche in questo caso Gabriele non si sta perdendo d’animo.
Nell’ultima settimana mi sto sentendo bene, dico la verità. Dopo il trapianto ho fatto un po’ tutto il percorso. L’hanno detto anche i medici, e lo dico sempre anch’io, siamo sulle montagne russe: un giorno sei sul picco – non ti senti come prima però ti senti bene – l’altro giorno sei più scarico, più stanco. Quando ti senti stanco devi riposare: vado sul letto o sul divano mezz’oretta, un’oretta, poi ti riprendi e riparti.
E Valeria? Gli è sempre stata vicino. Lei lavora presso un tour operator che le ha concesso lo smartworking per un po’. Anche lei però è una persona ottimista e sorridente.
Mia moglie mi ha aiutato tanto nei giorni più tristi, più bui, ad affrontare la cosa. Si è sempre data da fare in tutto, non mi fa mancare niente. All’inizio ti chiudi in te stesso: sì, il malato sono io, ma chi ti sta attorno ne risente quanto a te.
Prima di arrivare a Casa AIL di Vimodrone Valeria è stata ospite del fratello che vive a Milano ma è spessissimo via per lavoro. Questa piccola casa ha accolto anche Gabriele nei suoi “dentro-fuori” dall’ospedale ma il cognato è rientrato stabilmente, bisognava cercare un’alternativa, subito…
Queste sono malattie che purtroppo durano anche a lungo, devi lasciare il lavoro, devi continuare a pagare magari il mutuo di casa tua, le spese sono tantissime. Mio fratello mi ha detto “io rientro a fine maggio ed allora io ho pensato <>…” dice Valeria. Ha chiamato e le hanno detto che il 27 maggio si liberava un appartamento nella nuova casa di Vimodrone.
Gabriele cerca di esprimere tutta la sua riconoscenza per una situazione che lo tranquillizza, lo fa sentire bene “Mi sono reso conto dell’importanza di voi associazioni, in questo caso parlo di AIL perché sono stato colpito da una malattia ematologica, dell’importanza della gente che spende il proprio tempo facendo volontariato.
Ti rendi conto che nella vita nulla è scontato, che c’è tanta gente brava che ti aiuta nel tuo percorso. Io ho detto a Valeria, sperando che le cose vadano meglio, che possa uscire a questo tunnel, che alla fine voglio fare il volontario per AIL Rimini.
Se non ci entri dentro, non ti rendi conto di che macchina c’è dietro tutto quello che date ai pazienti per farli sentire meglio, farli sentire a loro agio”.
In Casa AIL si trovano bene.
Anche avere coinquilini che hanno comunque le tue patologie è utile. Qua c’è uno scambio di opinioni, si sta assieme. Condividendo le storie tra noi ti rafforzi, dici “non sono l’unico sfortunato”, vedi che, bene o male, tutti abbiamo fatto un percorso tortuoso. Avete pensato veramente a tutto per le persone che sono in questa situazione.
Anche Valeria dice di trovarsi bene “gli alloggi sono confortevoli, la casa è silenziosa, la notte non senti mezzo rumore, ti senti a casa” e racconta un aneddoto.
Quando ci hanno fatto vedere l’appartamento mi ero meravigliata del fatto che non ci fosse lavatrice né asciugatrice. Poi ci hanno fatto vedere il locale lavanderia e lì mi sono resa conto dei vantaggi di questa situazione. Non c’è il rumore in casa, non hai umidità, ognuno fa lavatrice quando vuole. Secondo me è una cosa bellissima, la lavanderia è stata veramente una scoperta.
Sono riusciti a tornare a casa un fine settimana per festeggiare il compleanno di Gabriele con la sua famiglia “Era giusto festeggiarlo: gli ho fatto fare due torte una con 49 (gli anni) e una con 148 (i giorni dal trapianto”, dice Valeria, però il ritorno a Milano è stato meno traumatico del previsto.
“Diciamo che il distacco da casa lo senti, perché casa tua è sempre casa tua, però tutto sommato il percorso che è stato fatto in ospedale, questa casa…sono stato benissimo, non mi pesa, non sono avvilito perché sono a Milano”, ammette Gabriele.
Il lavoro invece un po’ gli manca ma i suoi colleghi gli stanno molto vicino.
“Sono responsabile di reparto di un’azienda di circa 1.000 persone.
Ho ricevuto tanta umanità, tanto sostegno!
Il mio superiore mi chiama tutti i giorni per sapere come sto, come stanno andando le cure, ci scambiamo anche opinioni sul lavoro, faccio io delle domande per tenermi aggiornato.
Non vedono l’ora di rivedermi, mi dicono di mettercela tutta, che la cosa si supera, che loro mi aspettano a braccia aperte, di pensare soprattutto alla mia malattia, che il mio posto di lavoro è sempre lì ed è importante che io stia bene.
Mi dicono spesso “Sei una persona che vale, le persone che valgono ce le teniamo a cuore”.


