Ricercatrice della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori di Milano.
Per il successo della terapia CAR-T non basta misurare la quantità di cellule espanse ma occorre tenere sotto controllo l’infiammazione
Un nuovo studio multicentrico italiano, coordinato dal Professor Corradini e sostenuto da AIL Milano Monza Brianza, fa luce su un aspetto finora poco compreso della terapia con cellule CAR-T: perché alcuni pazienti non rispondono al trattamento, nonostante una buona espansione delle cellule CAR-T nel sangue?
Le cellule CAR-T hanno rivoluzionato la cura dei linfomi aggressivi, in particolare quelli a grandi cellule B, offrendo nuove speranze a chi non rispondeva alle terapie convenzionali. Ma non tutti i pazienti reagiscono allo stesso modo.
Fino a oggi, l’attenzione si è concentrata sull’“espansione” delle cellule CAR-T: più queste si moltiplicano nel corpo dopo l’infusione, più è alta la probabilità che il trattamento funzioni. Tuttavia, una nuova analisi condotta su oltre 260 pazienti di 12 centri italiani (tutti analizzati nell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano) dimostra che questo non basta. Lo studio ha confermato che i pazienti che rispondono meglio alla terapia mostrano in genere un’espansione più marcata delle cellule CAR-T nel primo mese dopo l’infusione.
Tuttavia, circa il 16% dei pazienti analizzati, pur mostrando un’ottima espansione, non ha ottenuto benefici clinici. Come mai? La risposta sta nell’infiammazione sistemica.
I ricercatori hanno scoperto che livelli elevati di due marcatori infiammatori -ferritina e proteina C reattiva (CRP)- prima del trattamento sono fortemente associati a un esito negativo, anche nei pazienti con buona espansione delle CAR-T. In parole semplici, un organismo già con elevati livelli di markers infiammatori sembra compromettere l’efficacia della terapia, rendendo le cellule CAR-T meno funzionali.
Anche le analisi sui tipi di cellule T presenti nei pazienti hanno confermato il legame: chi presentava livelli elevati di infiammazione aveva meno cellule T “immature” (quelle con maggiore capacità di combattere il tumore) sia prima che dopo l’infusione, segno che l’infiammazione può alterare la qualità anti-linfoma delle cellule T, non solo la quantità.
Queste scoperte aprono la strada a strategie più personalizzate: non solo per monitorare quante cellule CAR-T si espandono, ma anche per valutare lo stato infiammatorio del paziente prima di iniziare la terapia. In futuro, sarà possibile intervenire sull’infiammazione (ad esempio, con terapie antinfiammatorie mirate) prima o durante il trattamento per migliorarne l’efficacia. Questo studio è parte del progetto nazionale CART-SIE, coordinato dalla Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, con il supporto della Società Italiana di Ematologia e di AIL Milano Monza Brianza.
I risultati confermano l’importanza di raccogliere dati da pazienti in un contesto di trattamenti standard, al di fuori degli studi clinici controllati, e dimostrano come l’integrazione tra clinica e ricerca di laboratorio possa migliorare concretamente le prospettive terapeutiche. In sintesi, per predire il successo della terapia CAR-T, non basta misurare la quantità di cellule espanse. Bisogna anche tenere sotto controllo l’infiammazione, un nemico silenzioso che può ostacolare il successo anche quando tutto sembra potenzialmente andare per il meglio.


