Cinque il Lombardia, due nel Lazio e uno in Emilia Romagna. A questi se ne aggiungeranno presto altri, già al lavoro per ottenere l’accreditamento. Così l’Italia sta rispondendo all’approvazione della prima terapia a base di cellule ingegnerizzate contro i tumori

IN ritardo rispetto ad altri paesi, anche in Italia è arrivata la prima terapia a base di cellule ingegnerizzate contro leucemie e linfomi. Agli inizi dello scorso agosto, infatti, l’Agenzia del Farmaco (Aifa) e l’azienda Novartis annunciavano di aver raggiunto il primo accordo per rendere disponibile la terapia cellulare tisagenlecleucel fuori dalle sperimentazioni cliniche e dall’uso compassionevole. Da allora qualche passo in avanti è stato fatto, ma non possiamo ancora dire che la macchina di CAR-T sia pronta ovunque. Non tutte le regioni, infatti, hanno identificato i centri che si occuperanno di erogare le terapia approvata. A fare un bilancio dello stato dell’arte di CAR-T in Italia sono stati gli esperti riuniti durante il congresso della Società Italiana di Ematologia (Sie) in corso in questi giorni a Roma.

“Abbiamo approvato uno dei due prodotti disponibili e gli ospedali si stanno attrezzando per finalizzarne l’utilizzo”, ha spiegato Paolo Corradini, presidente della Sie e direttore dell’ematologia presso l’Istituto nazionale dei tumori. Perché CAR-T, anche se più volte ribattezzato farmaco vivente, non è un farmaco, ma una terapia cellulare, e affinché gli ospedali siano pronti a somministrarlo devono rispondere a speciali requisiti, ha ricordato Corradini. “Noi come società scientifica abbiamo interagito anche con le autorità per affrontare la questione ed è stato elaborato un documento che stila i requisiti necessari a un ospedale per erogare le CAR-T”. Così, sono eleggibili ai fini dell’erogazione del trattamento, ricorda l’Aifa, i centri di ematologia e di oncoematologia ad alta specializzazione per il trattamento di leucemie e linfomi, che abbiano disponibilità di accesso alla terapia intensiva e le autorizzazioni per le terapie cellulari.

Alle regioni spetta poi la selezione degli ospedali che hanno quei requisiti, e la struttura identificata a questo punto avvia una lunga procedura di qualificazione e negoziazione dei contratti con l’azienda produttrice. E con CAR-T, anche sotto questo aspetto – riprende Corradini – gli ospedali si sono trovati di fronte a un paradigma completamente nuovo: “Il paziente dà all’azienda farmaceutica la materia prima, perché l’azienda senza i linfociti che arrivano dai pazienti non può preparare il farmaco”.

Così di fatto, al momento, precisa il presidente della Sie, i centri pronti a erogare il prodotto commerciale oggi sono 5 in Lombardia, 1 in Emilia Romagna, 2 nel Lazio e altri che sono in via di definizione (per esempio in Piemonte, Veneto, Toscana). E, è notizia di pochi giorni fa, anche la Sicilia si sta attrezzando per erogare le terapie presso tre centri (due a Palermo e uno a Catania).

CAR-T è però insolito non solo come farmaco vivente. “L’autorità americane ed europee in questo caso hanno preso la stessa decisione, per cui l’azienda che lo produce si reca nel singolo ospedale, compie una sorta di audit e sulla base di questo decide se può o meno erogare la terapia. Ne consegue che gli ospedali, durante questo iter, subiscono una qualificazione da parte direttamente delle aziende. In questo modo, per volontà delle autorità regolatorie, il processo di gestione del rischio clinico rimane in capo all’azienda”. Ed è questo il motivo per cui, conclude Corradini, i tempi per completare la macchina di CAR-T si allungano: “Pur partendo per ultima in Europa, adesso, abbastanza rapidamente, l’Italia sta però riguadagnando posizioni rispetto agli altri paesi”.

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