Sebbene i farmaci siano disponibili, la macchina organizzativa per la somministrazione delle terapie a base di linfociti ingegnerizzati è ancora in alto mare. Gli esperti, riuniti a convegno, immaginano un modello efficiente e capace di garantire equità di accesso sul territorio
Le prime terapie a base di cellule CAR-T sono arrivate. Gli accordi siglati dalle aziende produttrici con l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) per la rimborsabilità delle terapie hanno completato l’iter burocratico. Ma la macchina organizzativa è tutt’altro che pronta. L’accreditamento dei centri è appena partito, ma di quanti ne avremmo bisogno? Come identificarli, come evitare la creazione di diseguaglianze e migrazioni sul territorio nazionale? Come organizzarsi per l’erogazione di un farmaco completamente diverso da quello tradizionale? Sono stati questi i temi al centro delle discussioni che hanno caratterizzato l’incontro “Road Map CAR-T prospettive attuali e future dell’uso delle CAR-T in Italia”, realizzato da Motore Sanità con il contributo incondizionato di Novartis.

La definizione dei centri, una questione aperta
Al momento, hanno raccontato gli esperti delle istituzioni, sono circa una trentina i centri identificati dalle regioni sulla base delle indicazioni definite dall’Aifa per l’erogazione delle terapie. Ma si tratta solo del primo passo del processo di qualificazione che spetta invece alle aziende produttrici e che oggi è stato portato a termine per meno di una decina di centri. Al di là dell’iter necessario per l‘accreditamento dei centri, quello che appare urgente in questa fase di definizione della macchina organizzativa CAR-T è la definizione di un modello di erogazione delle terapie. La somministrazione delle CAR-T dovrà rispondere a dei criteri condivisi, chiari e trasparenti di indicazione al trattamento. Che sono quelli, ricorda Fabio Ciceri, direttore dell’Unità Operativa di Ematologia e Trapianto Midollo Osseo (UTMO) del San Raffaele di Milano, contenuti nelle schede per l’autorizzazione al commercio a livello europeo e dell’Aifa.

Un modello hub and spoke
“I cittadini si aspettano trasparenza, equità di accesso, sicurezza e gratuità. Per raggiungere tutti questi obiettivi servono reti regionali e interregionali, per le quali quello del mondo dei trapianti può essere un modello”, ha aggiunto Letizia Lombardini, Dirigente Medico Centro Nazionale Trapianti. Secondo Lombardini e gli esperti riuniti al convegno, uno dei modelli possibili per l’organizzazione della macchina CAR-T potrebbe essere quello dell’hub and spoke, con centri erogatori e strutture satelliti che selezionano e indirizzano i pazienti. “Questo ovviamente implica che nell’ottica di formazione del personale addetto alle CAR-T non andrà formato solo quello dei centri erogatori, ma anche quello delle strutture periferiche”. Da bilanciare, auspicabilmente – continua Lombardini – a seconda del volume di attività dei singoli centri, considerando i costi legati al mantenimento di una simile expertise. Che la via dell’hub and spoke sia quella più adatta per le CAR-T è anche Ciceri a ribadirlo: “L’accentramento, è dimostrato, permette di garantire non solo appropriatezza ma anche di migliorare gli outcome di malattia”. E rappresenta anche la via per costruire specializzazioni di settore, continua l’esperto.

Le criticità attese con l’arrivo delle CAR-T
Questo non significa però che non ci si saranno criticità, va avanti Ciceri. “Uno dei grossi colli di bottiglia sarà presentato dal carico di lavoro dei centri che gestiscono i trapianti allogenici, quelli che verosimilmente effettueranno i trattamenti a base di CAR-T”. Oggi questi centri sono saturi, continua Ciceri, al limite delle capacità di gestione delle terapie, e avranno bisogno di nuove risorse e spazi per la gestione di queste terapie per non entrare in conflitto con la rete trapianti. “In Francia o Germania l’arrivo delle CAR-T è stato accompagnato dall’apertura di sezioni di reparto dedicate alle terapie, e questo è quello che ci attendiamo anche in Italia”. Oltralpe l’aumento di spazi e personale dedicato ha permesso di trattare circa duecento pazienti in pochissimi centri, appena tre, riferisce Ciceri. “Al momento in Italia però non è stato avviato un programma simile di potenziamento di risorse e personale, quindi – conclude l’esperto – cominceremo a e erogare le terapie, magari con qualche difficoltà, poi tra un anno circa mapperemo in modo preciso l’impatto sulle liste di attesa e faremo un punto sulla situazione”.

Quello delle liste di attesa, ha aggiunto anche Anna Maria Marata, Coordinatore Commissione Regionale del Farmaco della Regione Emilia Romagna e membro della Commissione Tecnico-Scientifica AIFA, potrebbe essere un problema da affrontare anche per CAR-T, di fatto un farmaco di cui non abbiamo pressoché esperienza. Anche sotto questo punto di vista, sarà fondamentale definire criteri trasparenti di ingresso a priori. “Un paziente che ha bisogno del trattamento deve capire bene in anticipo cosa lo aspetta, quale è il percorso, quali sono le possibilità e gli ostacoli”, ha spiegato Marata, sottolineando l’importanza di criteri di eleggibilità condivisi tra i centri, oltre quelli stabili dal registro Aifa. Tra i criteri di ingresso nella lista, ha aggiunto Marata, sarà fondamentale capire come comportarsi in relazione alla residenza dei pazienti, per evitare disparità di accesso tra Regioni.

di ANNA LISA BONFRANCESCHI
per Repubblica.it

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