Gli AYA, acronimo di Adolescents & Young Adults, rappresentano un sottogruppo di pazienti oncologici che per una serie di caratteristiche biologiche, sociali e psicologiche non possono essere considerati né bambini né adulti. Per tale ragione necessitano una presa in carico da parte di un team multidisciplinare che integri al percorso di cura medico un percorso psicologico e sociale. È ancora in fase di dibattito la definizione del range di età di questi pazienti ma possiamo indicativamente comprenderli in una fascia di età compresa tra i 14 e i 25 anni.
Chi sono gli AYA?
Sono ragazzi che si definiscono “normali” perché fanno cose normali: copiano durante le verifiche di matematica, viaggiano, vanno al cinema, all’università, giocano a pallone, a pallavolo, a basket, ai videogiochi, si truccano e scelgono con cura i vestiti che dovranno indossare in ogni singola occasione che la giornata gli presenterà. Sono ragazzi ambiziosi, vogliono voti alti e un posto di lavoro che li gratifichi. Hanno una famiglia a cui ribellarsi e da cui ritornare per sentirsi finalmente a casa. Sono ragazzi che hanno lo sguardo rivolto verso il futuro; si confrontano e si mettono in discussione rispetto a quello che sono stati, che sono e che potranno essere. Sono intelligenti, curiosi, appassionati della vita. Ragazzi a cui un giorno è stato detto: STOP.Adesso ti devi fermare qui e per un tempo prolungato. Perciò saluta i tuoi amici, i tuoi colleghi e di’ loro che, per adesso, ti devi prendere cura di te. Di’ al futuro che, per adesso, devi smettere di rivolgergli lo sguardo perché ti devi concentrare sul presente. Di’ al mondo che tornerai a visitarlo ma che, per adesso, devi riporre la valigia in cantina. Di’ alla tua mamma che ti emanciperai da lei, ma non ora. Adesso hai bisogno di averla accanto”.
Il punto di vista psicologico
La malattia del giovane adulto rappresenta certamente una sfida per tutti gli attori coinvolti; in primis per gli adolescenti. L’adolescenza è quel momento della vita in cui non ci si riconosce più come bambini ma non ci si sente neanche adulti, pur desiderandolo ardentemente. Questo desiderio di “Sé” si traduce in una spietata ricerca di situazioni in cui sfida e ribellione sono ingredienti principali per la definizione di un’Esistenza tra le esistenze. I ragazzi per cercare sé stessi, e per trovarsi, non possono fare altro che scontrarsi e ribellarsi a qualsiasi autorità presente sul loro percorso: i genitori, il sistema scolastico, l’amore da cui si fanno sconvolgere e da cui cercano di demarcarsi con sofferenza. Ogni imposizione, soprattutto se esercitata da un adulto, è ostativa alla ricerca di sé e, dunque, elemento verso cui ribellarsi per sentirsi capaci di pensarsi e di scegliersi contro il parere di tutti e nonostante tutto.
Ribellione, passione, emancipazione, sono, dunque, alcune delle caratteristiche che descrivono gli adolescenti nel loro essere più intimo. All’interno di questo quadro evolutivo la malattia oncoematologica non può che rappresentare un elemento ostativo al bisogno di fare esperienza e questo può portare a sviluppare varie forme di disagio reattive e/o psicopatologiche. Se la malattia impedisce a questi ragazzi di “essere nel mondo”, risulta fondamentale, dal punto di vista psicologico, garantire loro, sia all’interno dei reparti di degenza sia nei contesti extraospedalieri, la continuità della vita. La vita per questi ragazzi deve strutturarsi, oltre all’impegno clinico, in una serie di esperienze tra cui: partecipazione ad attività scolastiche e ludiche, coinvolgimento attivo nel processo decisionale del percorso di cura e poi innamorarsi, fare amicizia, costruire un gruppo, raccontarsi attraverso la musica, la fotografia, i social; fare pace con il proprio corpo, provare a piacersi anche se quotidianamente si è in guerra con sé stessi, volersi bene.
I ragazzi devono continuare a fare esperienza di sé nonostante la loro malattia e sapere che da qualche parte c’è un adulto che consente loro di manifestare un disagio che necessita di essere espresso, anche se, questo, può presentarsi in condotte oppositive nei confronti della cura stessa. Può succedere e possono presentarsi situazioni in cui la sofferenza può manifestarsi attraverso vissuti emotivi borderline. L’importante in questi casi è che la situazione sia monitorata e gestita dagli specialisti che si occupano di psicologia dell’adolescenza senza soffocare una serie di vissuti coerenti e rappresentativi di una malattia che ha solo messo in stand by quella voracità di cui solo un adolescente può e deve esserne “peccatore”.
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Dott.ssa Eleonora Criscuolo
Psicologa, Psicoterapeuta presso la Psicologia Clinica dell’Istituto Nazionale dei Tumori e dell’Ambulatorio di supporto Psicologico AIL Milano.