La comunicazione in oncoematologia: l’incontro tra la competenza e la cura

Giu 6, 2022 | Ambulatorio psicologico

Parole per raccontarci, per esprimerci, per costruire ricordi.
Parole per esistere.

La parola, ci differenzia dagli altri animali, ed è attraverso di essa che definiamo la nostra presenza nel mondo. Possiamo dunque definire il linguaggio come unico modo per fare di noi, noi; come competenza capace di rendere degna di nota la complessità dell’essere umano e soprattutto come mezzo attraverso cui stare in relazione.

Di mestiere uso la parola per tessere relazioni con persone che mi richiedono di stare con loro nel dolore vissuto per una vita che non si sta consumando esattamente come progettato. Dai loro racconti ho compreso che comunicare in ambito oncoematologico è un processo molto complesso e non una competenza semplice e naturale come si può pensare; richiede a tutte le parti coinvolte di esporsi e di entrare in contatto con fantasmi del passato e con la reciproca tollerabilità al dolore.

Comunicare, dunque, come mezzo attraverso cui aprirsi all’altro per chiedergli di comprendere quello che gli viene offerto, di non giudicarlo ma di ascoltarlo. Questo è quello che i pazienti chiedono ai medici. Questo è quello che i medici chiedono ai pazienti.

La sofferenza del paziente che riceve una diagnosi incontra la frustrazione di un professionista che non aveva nessuna intenzione di dare una notizia così infausta. Medico e paziente sono entrambi ingaggiati nel dolore e per poterci stare dentro è indispensabile che ognuno di loro – il paziente per non patologizzarla e il medico per accoglierla- abbia instaurato con la sofferenza un rapporto sano, onesto, autentico.

Dalla mia esperienza ho imparato che possiamo organizzare centinaia di corsi su come comunicare in modo efficace, ma se non abbiamo avuto cura di noi, della nostra storia – che infondo se ci pensiamo è la più temibile di tutte perché è la nostra- non riusciremmo mai a comunicare in modo sentito e delicato una diagnosi e, soprattutto, diventerebbe faticoso stare e comprendere il vissuto della persona che abbiamo di fronte a noi. Ho ascoltato diverse reazioni alla diagnosi, dal silenzio alle lacrime, alla distrazione, allo sconforto e in alcune circostanze sono state confuse per reazioni patologiche o in certi casi oppositive.

Eppure, ogni paziente, con la sua reazione comunica al medico un vissuto, reattivo, normale, rappresentativo del modo di essere di una persona che in un giorno qualunque attraverso due parole ha sentito il proprio mondo crollargli sotto ai piedi. Non vengono richieste abilità oratorie ma la sensibilità di chiedere “come sta”? e per riuscire a farlo, quel professionista che di mestiere utilizza la sofferenza, deve aver fatto i conti con il proprio dolore.

Comunicare è scambiarsi pezzi della nostra storia e senza un’attenta e sensibile conoscenza di quello che portiamo di noi all’altro, comunicare diventa impossibile.

Curare una malattia oncoematologia richiede un tempo in cui medico e paziente si conoscono attraverso l’uso di una parola potente, capace di stravolgere una vita intera. Non sono necessarie competenze tecniche ma è indispensabile aver affinato la capacità di volersi bene e di aver cura di sé, ogni giorno, per stare dentro ad un dolore che in ogni sua forma grida e chiede di essere semplicemente ascoltato.

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