Il trattamento di infusione delle Car-T Cell è una terapia altamente innovativa e per alcuni aspetti rivoluzionaria, in grado di riprogrammare i linfociti T per combattere il tumore direttamente dall’interno dell’organismo. La terapia viene consigliata e prescritta a tutti quei pazienti con tumore ematologico che soddisfano una serie di criteri, tra cui forme di neoplasia resistenti ad altre terapie e/o forme recidivanti. L’infusione delle Car-T Cell rappresenta per i pazienti una concreta possibilità per una vita libera da malattia dopo lunghi e tortuosi periodi di cura. La terapia, tuttavia, oltre ad essere associata ad una serie di possibili effetti collaterali, non è in grado di garantire il risultato sperato come accaduto nel caso di L.P. 

L.P è una paziente a cui è stato diagnosticato un linfoma non Hodgkin e ha deciso di condividere con noi la sua storia affinché ogni persona che stia affrontando un percorso di malattia simile al suo, possa avere, per quanto possibile, una visione di speranza e di fiducia. 

Come è venuta a conoscenza del trattamento di infusione delle Car-T Cell?

Mi è stato proposto dall’Istituto Nazionale dei Tumori. Ho una forma particolarmente aggressiva di Linfoma non Hodgkin per il quale mi sono sottoposta ad una prima linea terapeutica nel gennaio del 2020 che purtroppo non ha dato gli esiti sperati. Alla fine di questo primo ciclo di cure e sulla base della mia situazione clinica, mi hanno proposto la terapia delle Car-T Cell mettendomi a conoscenza sia delle sue incoraggianti percentuali di successo sia dei suoi possibili effetti collaterali. Ho dato il consenso a procedere, seppur con timori e paure per quello che mi sarebbe potuto accadere. Ricordo la visita con l’anestesista che mi aveva messo a conoscenza di tutti i possibili effetti collaterali della terapia e ricordo la paura di sottopormi al trattamento ma non avevo alternativa. Purtroppo però a distanza di un paio di mesi dalla fine del ciclo di infusione delle Car-T Cell la malattia è tornata. 

Che significato ha avuto per lei poter partecipare a questo trattamento?

Poter partecipare ad un protocollo innovativo, sperimentale, costoso e non adatto a tutti mi ha fatto sentire fortunata e una persona privilegiata. Anche se non ho ottenuto il risultato sperato ho avuto una seconda possibilità di cura e so che per molte persone questo non è possibile. 

Quali vissuti hanno accompagnato il percorso di infusione delle Car-t Cell? 

Paura. Come le dicevo, prima di firmare il consenso al trattamento mi sono state fornite una serie di informazioni riguardo l’infusione tra cui tutti i possibili effetti collaterali. Mi è stato detto che la terapia avrebbe potuto causare febbre, problemi respiratori gravi al punto da richiedere l’intervento della terapia intensiva, intubazione, e, ovviamente la morte. Non avevo paura di morire ma di essere intubata. MI spaventava molto l’idea di ritrovarmi in una stanza con un casco e un tubo che respiravano al mio posto. Forse questa paura era anche alimentata dal periodo covid che stavamo vivendo ma, per me, sapere che avrei potuto avere un tubo in bocca che mi avrebbe impedito di parlare, di chiedere aiuto se ne avessi avuto bisogno, di poter esprimere un disagio o un dolore era oggetto di molta ansia. 

Cosa le è stato d’aiuto per contenere questa ansia? 

Chiedere aiuto agli psicologi dell’Ambulatorio di supporto psicologico AIL Milano e confrontarmi con gli infermieri del reparto di ematologia. Gli infermieri mi raccontavano la loro esperienza quotidiana con persone che avevano affrontato il percorso con le Car-T Cell ed erano tutte esperienze positive. Non so se mi veniva detta la verità o se mi venivano raccontate delle cose per farmi stare tranquilla ma mi garantivano che di tutte le persone assistite, quasi nessuno era incorso in problematiche la cui gravità richiedeva l’accesso alla terapia intensiva. Questo mi ha rassicurato tanto. Siete stati veramente tutti molto bravi, devo proprio ringraziarvi. Il supporto psicologico, invece mi ha aiutato moltissimo a normalizzare la paura e a concedermela. Vivevo, anzi non vivevo, bloccata dall’ansia e non mi rendevo conto di quanto fosse normale avere paura per quello che avrei dovuto sostenere. Autorizzarmi ad avere paura mi ha permesso di vivere e vivermi questa esperienza nel modo giusto per me e di fidarmi completamente all’equipe che aveva in carico il mio caso. 

Come descriverebbe la sua esperienza con le Car-T Cell? 

Un’esperienza che nel suo insieme e, nonostante l’esito infausto per me, descriverei come positiva per diversi aspetti.  Ho avuto una possibilità in più di guarigione e non sono successe tutte le cose drammatiche che mi erano state, giustamente, descritte. Il percorso mi ha anche dato la possibilità di lavorare su me stessa. 

Come descriverebbe questa esperienza da un punto di vista emotivo? 

Diciamo che da un punto di vista emotivo è un’esperienza molto complessa. Non ero capace a raccontare le mie emozioni e non ero assolutamente a conoscenza del mondo emotivo che accompagna la vita di una persona. Come le dicevo prima, il percorso delle Car-T Cell ha rappresentato per me una possibilità certamente di guarigione ma anche per lavorare su di me. Un anno fa probabilmente non sarei stata capace di rispondere a questa domanda mentre oggi le dico che il percorso di infusione è una montagna russa di emozioni. Quando ho scoperto che, nonostante il primo ciclo di terapia, la malattia era tornata ero davvero sconfortata e priva di fiducia nei confronti di qualsiasi altra cura. Mi sentivo spacciata. Poi l’ematologa mi ha riferito che per la mia situazione clinica esisteva una cura innovativa che stava dando incoraggianti risultati, le Car-T appunto. Ho vissuto questa proposta terapeutica in modo drammatico. Ero spaventata all’idea di aderire ad una cura sperimentale, non so, mi dava l’idea di non aver più chance. Arrivavo da mesi di terapie che non avevano avuto alcun effetto sulla malattia e per questo l’idea di partecipare ad un trattamento sperimentale mi gettava nello sconforto. Io non conosco nulla di medicina e ingenuamente pensavo che le cure sperimentali fossero destinate solo alle persone che non hanno alternativa e per questo un po’cavie del sistema. Ho pianto tanto per questo, forse più di quanto ho fatto quando mi è stato diagnosticato il linfoma. Poi, confrontandomi con gli ematologi, gli infermieri e la psicologa ho afferrato il significato vero della cura che stavo per iniziare e ho iniziato a considerare le Car-T non come l’ultima possibilità ma come un’altra possibilità. Quindi, oggi, posso dirle che, dopo un lavoro su me stessa, ho vissuto il percorso con paura, speranza e fiducia. 

Più volte ha definito l’esperienza con le Car-T Cell come una possibilità per lavorare su di sé.  Che lavoro sente di aver fatto su di sé? Dal punto di vista psicologico cosa è stato importante per lei? 

Io non sono mai stata da una psicologa perché credevo di farcela da sola. Quando a distanza di un paio di mesi dalla fine del primo ciclo di cure ho scoperto il ritorno della malattia ero davvero sconfortata. Il momento peggiore, però, l’ho vissuto quando l’ematologa mi ha proposto una nuova linea terapeutica. Ero distrutta, sconfortata, angosciata e in quel momento l’ematologa mi ha informato dell’esistenza dell’ambulatorio di supporto psicologico AIL Milano e mi ha consigliato di contattare gli psicologi per poter essere accompagnata in questa nuova fase. Non le nego che lì per lì non ero molto entusiasta; ero convinta che nessuno avrebbe potuto aiutarmi. Poi l’ansia mi accompagnava ogni giorno e lì mi sono resa conto che quello che stavo vivendo era troppo grande per me. Non avevo bisogno che qualcuno mi risolvesse il problema, sapevo che non era possibile. Avevo, però, bisogno di condividere con qualcuno quello che stavo vivendo, di avere uno spazio tutto mio in cui poter parlare della mia paura con una persona sconosciuta capace di ascoltarmi e di stare in silenzio senza darmi il suo punto di vista. La mia famiglia, per quanto mi sia vicina, non è proprio di supporto. Sono più spaventati di me. Parlare con una persona che ascolta e comprende quello che gli stai raccontando, ti permette di dare voce a dei pensieri intrusivi e spaventanti. Da persona diffidente, consiglio a chi come me sta affrontando un percorso di malattia, di contattare gli psicologi perché fanno davvero un lavoro incredibile e sono di grande aiuto. Credo che il lavoro più grande che ho fatto su di me sia stato quello di imparare a chiedere aiuto e di rendermi conto che vivere con una malattia come la mia, ti porta a sperimentare dei vissuti forti, invalidanti, intrusivi e che per poter affrontare al meglio il lungo percorso di cura che ti aspetta hai bisogno di normalizzarli e di non sentirti matto. Ho imparato che se sei malato è normale avere paura. Io confondevo la paura con l’ansia e posso dirle che è peggio della malattia stessa.  Da qualche settimana ho intrapreso una nuova terapia, anch’essa sperimentale e ho nuovamente paura. Non posso negare che, reduce dalla pregressa esperienza, non sia spaventata all’idea di un altro fallimento. Però non posso fare altro che aspettare e nell’attesa di quel giorno, cioè quello relativo alla fine di questo nuovo ciclo e, voglio proprio dirglielo, quello relativo alla fine di questa esperienza di malattia continuo a vivere.  So che ho ancora qualche soluzione. So che non è ancora finita e come le dicevo io voglio vivere e farò di tutto per farcela!

Ci sono state delle fasi più significative rispetto ad altre? 

Certamente la fase iniziale, cioè quella in cui ti rendi conto che la malattia non ha risposto alle precedenti terapie, è quella in cui sei pervaso dalla paura. In quel momento ero davvero spaventata. Il mio linfoma sembra, in un primo momento, rispondere molto bene alle terapie e poi dopo un paio di mesi, come è accaduto anche con il protocollo delle Car-T, assisto ad un ritorno della malattia. Forse, pensandoci adesso con lei, il momento più significativo è stato quello in cui anche con le Car-T Cell non ho raggiunto l’esito sperato. Sembrava la terapia giusta, stavo bene e credevo fosse davvero la volta buona per me e invece dopo due mesi la malattia è tornata. Adesso mi sono sottoposta ad una nuova terapia sperimentale di infusione di linfociti B specifici, di cui non mi è stato ovviamente garantito nulla, ma sembra che anche questa cura abbia dato ottimi risultati e quindi ci devo e voglio provare. Non ho alternativa. 

Ha mai pensato di non sottoporsi al trattamento delle Car-t Cell? 

No! Pur avendo paura non ho mai pensato di non farlo. Ero terrorizzata, ho pianto tanto ma non ho mai pensato di non curarmi. Tutti mi dicono che sono brava e forte ma io non mi sento affatto così. Io non ho via d’uscita, non ho scelta. Nessuno ti chiede se vuoi farlo. Ti prospettano un percorso impervio di possibile guarigione. Ti prospettano una strada e ti mettono a conoscenza dei possibili ostacoli che potrebbero presentarsi durante il percorso. Ti prospettano la strada gusta per te, la migliore che possa esserci per quell’ostacolo che non doveva presentarsi. Per questo so che qualora questo terzo tentativo, a cui sto affidando il mio futuro, non dovesse concretizzarsi in una remissione di malattia ho ancora la possibilità di sottopormi ad un trapianto da donatore per il quale ho recentemente firmato un consenso. Ogni cura per me è una possibilità! È giusto tentare. Bisogna tentare perché la vita è bella ed io la voglio vivere!  

Cosa direbbe ad una persona che sta per iniziare questo percorso?

Gli direi di avere paura perché è sano e giusto averne e di farlo senza pensarci troppo! È una grande possibilità e nonostante tutta l’angoscia che ho vissuto, posso dire che è un’esperienza positiva e se qualcuno dovesse chiedermi un consiglio lo consiglierei assolutamente. 

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