La leucemia mieloide cronica
La leucemia mieloide cronica è un tumore del sangue in cui un’alterazione cromosomica, la traslocazione (9;22), porta alla formazione del cromosoma Philadelphia in grado di indurre i globuli bianchi a proliferare in modo incontrollato a livello del midollo osseo. Questo comporta un aumento del numero di globuli bianchi, anche immaturi, in circolo. Sebbene nella metà dei casi la diagnosi sia occasionale, solitamente a seguito del riscontro di elevati valori di globuli bianchi, e che spesso all’esordio questa malattia sia asintomatica, questa con il passare del tempo può evolvere in una fase blastica, caratterizzata dall’aumento e dall’accumulo di precursori immaturi nel midollo osseo, da sintomi più importanti e decorso più aggressivo.
INCIDENZA
Essa rappresenta il 15-20 per cento circa di tutti i casi di leucemia. È relativamente rara e in Italia colpisce circa 1-2 persone ogni 100.000, con una frequenza maggiore tra gli uomini.
È una malattia che si presenta soprattutto in età avanzata: l’età media alla diagnosi è di circa 64 anni e la metà circa dei casi viene diagnosticata nelle persone di almeno 65 anni.
CAUSE E FATTORI DI RISCHIO
La causa della patologia è da ricercarsi nella presenza nel DNA delle cellule malate della traslocazione t(9;22). Tale traslocazione porta alla formazione di un gene anomalo, chiamato BCR::ABL1, che, attraverso la produzione di una proteina appartenente alla famiglia delle tirosin chinasi, è in grado di attivare in modo costante la replicazione dei globuli bianchi nel midollo osseo.
Non si conoscono molti fattori di rischio per la leucemia mieloide cronica. L’esposizione ad alte dosi di radiazioni è l’unico fattore ambientale noto, mentre non sono stati dimostrati legami tra la malattia e comportamenti legati ad abitudini e comportamenti, come l’alimentazione o l’esposizione ad alcune sostanze o a infezioni virali.
SINTOMI E SEGNI
In molti casi le persone colpite da leucemia mieloide cronica non presentano sintomi al momento della diagnosi, che spesso avviene per caso, per esempio durante un controllo generale o per un’altra patologia. Inoltre, anche se presenti, i sintomi sono spesso poco specifici e comuni a molte altre malattie: debolezza, febbre, sudorazione notturna, perdita di peso, dolore o senso di pienezza al ventre dovuto a un ingrandimento della milza (splenomegalia), dolore alle ossa o alle articolazioni. In fase avanzata possono inoltre essere presenti sanguinamenti, infezioni e stanchezza legati alla riduzione delle normali cellule del sangue che sono sostituite da quelle tumorali.
DIAGNOSI E CLASSIFICAZIONE
Il sospetto diagnostico in genere insorge sul riscontro di un elevato numero di globuli bianchi maturi (ma talvolta anche di precursori immaturi e intermedi) agli esami del sangue, in assenza di altre cause (ad esempio infezioni in atto); durante la fase cronica a volte si rileva anche un aumento del numero di piastrine circolanti. A volte è presente anche la splenomegalia, che generalmente viene indagata tramite l’esecuzione di un’ecografia addominale.
La diagnosi si basa sulla positività della ricerca del trascritto BCR::ABL1 nel sangue e sull’esame del midollo osseo (che mostrerà un aumento dei globuli bianchi e dei loro precursori a livello midollare e sulla presenza del cromosoma Philadelphia nelle cellule leucemiche).
La fase avanzata è caratterizzata in genere da un aumento dei globuli bianchi immaturi in circolo, da un contestuale calo dei valori di emoglobina e piastrine e dall’incremento dei diametri della milza.
TERAPIA
Attualmente la terapia di scelta per questa patologia è rappresentata dall’uso di farmaci specifici chiamati inibitori delle tirosin chinasi (TKI), i quali bloccano l’attività proliferativa delle cellule tumorali che possiedono il gene di fusione BCR::ABL1. Questi farmaci hanno rivoluzionato il trattamento della malattia, permettendo di migliorare la sopravvivenza dei pazienti, equiparandola a quella della popolazione generale, ed in alcuni casi di arrivare all’ambito obiettivo della sospensione della terapia (Treatment-free remission).
Attualmente sono in uso diversi farmaci appartenenti a questa categoria: il primo ad essere stato sviluppato è stato imatinib. Altri TKI di seconda generazione e il cui uso è attualmente approvato in I linea (ossia, come primo trattamento dopo la diagnosi) sono dasatinib e nilotinib. Bosutinib (TKI di seconda generazione) e ponatinib (TKI di terza generazione) sono invece attualmente riservati ai pazienti che si siano dimostrati intolleranti o resistenti ad altri TKI.
Più recentemente, è stato introdotto un nuovo inibitore, asciminib (cosiddetto STAMP inibitore), con meccanismo di azione diverso dagli altri TKI. Questo farmaco attualmente in Italia è utilizzabile dopo fallimento (per resistenza o intolleranza) di almeno 2 precedenti TKI.
La scelta del trattamento di prima linea si basa sulle caratteristiche cliniche dei pazienti (età, comorbidità, farmaci concomitanti, rischio di evoluzione), mentre per la seconda linea o successive si considerano aspetti legati alla malattia (tipo di resistenza o intolleranza alle precedenti terapie).
È fondamentale eseguire uno stretto monitoraggio, in genere ogni 3 mesi, del livello plasmatico della proteina BCR::ABL1 in modo da determinare il grado di risposta alla terapia e rilevare in tempi rapidi la presenza di eventuali resistenze a un determinato TKI che potrebbero rendere necessario un cambiamento di farmaco.
Gli effetti collaterali, sono variabili ed in funzione del tipo di TKI in uso e spesso sono controllabili in maniera efficace. Solo in alcuni casi sono tali da rendere necessario cambiare farmaco.
I pazienti più giovani resistenti a più inibitori delle tirosin chinasi o con malattia avanzata possono tuttavia ancora beneficiare del trapianto di cellule emopoietiche da donatore.
Con le metodiche di monitoraggio del trascritto BCR::ABL1, sempre più sensibili, che hanno permesso un maggior controllo della leucemia mieloide cronica e una più precoce rilevazione di eventuali resistenze o fallimenti terapeutici, l’evoluzione in fase avanzata è considerato un evento raro. Tuttavia, quando ciò accade, la terapia solitamente si basa sulla chemioterapia con l’eventuale associazione di TKI; i pazienti giovani che abbiano a disposizione un donatore devono essere valutati per un programma di trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche.
Dott. Nicola Orofino
UOC Ematologia, Ospedale di Legnano, ASST Ovest Milanese
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